Micromassaggio estremo-orientale

Non diversamente da un modellatore di creta o da un pigiatore d’uva, il terapeuta manuale deve avere una buona sensibilità tattile che a sua volta implica un certo grado di piacere nel contatto. Senza fraintendimenti: probabilmente la tecnica che sto per descrivere è quanto di meno erotico esista, ma il polpastrello che curiosamente affonda rievoca i giochi di bambino con la plastilina. Ho suscitato sufficiente curiosità?
 
La tecnica è di una semplicità disarmante, al punto che leggendo queste pagine con attenzione chiunque può azzardarsi a praticarla senza rischiare di fare del male (c’è invero una difficoltà, ma piuttosto rapidamente superabile). Ed ecco che il nostro libro diventa, almeno per questo esilissimo capitolo, un manuale.
Cominciamo dall’inizio, ovviamente.
 
A cosa serve? Come il miofasciale, ad allentare le contratture muscolari.
 
Dove si pratica? Sopratutto sul dorso, dal bacino fino alla base del collo.
 
Come si cercano le aree da trattare? Si preme con i polpastrelli dei pollici risalendo a piccoli “passi” lungo i fasci muscolari subito a lato della colonna vertebrale, e si prende nota dei punti dove la pressione rileva una sottostante rigidità. Per i principianti la difficoltà è fondamentalmente legata all’accurata ricerca dei punti; ma in questo caso ci si può affidare alla percezione del soggetto, chiedendogli dove lamenta un certo dolore pressorio. Una volta terminata l’esplorazione si ritorna al segmento rigido/dolorante più basso trovato e s’inizia a manipolare.
 
Come si fa? Si appoggia il polpastrello dell’indice o del medio e si esegue una leggerissima pressione che sfrutta il punto d’appoggio come perno e fa esercitare all’intera mano un movimento rotatorio, come a voler disegnare nell’aria un cono che ha il suo vertice al contatto fra dito e pelle del paziente e la sua base al polso; quest’ultimo dev’essere morbido, affinché il garbato movimento sia sciolto, lento e non fastidioso. La rotazione è indifferentemente oraria o antioraria, purché lenta.
In capo a qualche decina di secondi, a volte anche meno, l’operatore avrà la strana e piacevole sensazione che la pelle ceda sotto la pressione e il dito affondi nella carne del soggetto trattato per uno o due centimetri. Solo l’occhio avvertirà che (per fortuna!) il fenomeno è molto più contenuto: qualche millimetro appena.
Una volta innescato questo meccanismo, il muscolo sottostante si decontratturerà progressivamente. Non è necessario insistere ancora su quel punto, a meno che non faccia piacere a tutti e due.
 
Questa prima fase del lavoro permette lo scioglimento della tensione muscolare perché la piccola area fortemente contratturata che abbiamo trattato in maniera così selettiva svolge un ruolo di “trigger”.
Io sono un italianista convinto, ma devo riconoscere che a volte le parole straniere rendono l’idea meglio di certi concetti nazionali. Oppure che l’uso (magari anche distorto) dell’espressione straniera è così entrato nell’abitudine da non potersi sostituire con l’equivalente italiano: come “stress” che nella lingua originale significa semplicemente “fatica, sforzo” ma da noi è ben radicato nel connotare uno stato fondamentalmente psichico. O ancora una certa espressione straniera si è ritagliata uno spazio, fors’anche immotivato, di assoluta autorevolezza in qualche ambito, per esempio sulle riviste scientifiche. Orbene, questa buffa assonanza britannica sarebbe ben traducibile con “grilletto”, quello che innesca lo sparo, ma è ormai ampiamente entrata nell’uso nostrano.
Proprio di questo si tratta: il trigger garantisce il persistere della contrattura su una vasta area che in qualche modo si trova alle sue dipendenze. Infatti può accadere, come per il miofasciale, che il micromassaggio ben eseguito su un punto ristretto della regione lombare ottenga un importante allentamento fino alla nuca!
La progressione è sempre dal basso verso l’alto, perché nel nostro vivere in posizione eretta la muscolatura più vicina al terreno esercita un comprensibile ruolo di controllo e predominanza sui distretti più elevati.
 
Esaurita la manipolazione morbida, in quella stessa area si deve completare l’opera con una parte meno piacevole (ahinoi, anche qui interviene una certa quota di dolore): si afferra la pelle e un po’ di tessuto sottocutaneo fra i polpastrelli di indice e pollice e si assesta una serie di quattro-cinque buoni pizzicotti. Lo scopo di questa non gradevole sorpresa finale (ma bisogna sempre preavvertire, mi raccomando!) è di garantire un effetto rilassante duraturo attraverso la vasodilatazione, resa esplicita dal rossore cutaneo, che si trasmette fino al muscolo.
 
Ci si sposta più in alto e si ripete il trattamento, ma prima si verifica se le condizioni sono cambiate: un ammorbidimento particolarmente efficace di questo trigger potrà aver già annullato molti dei punti rigidi soprastanti, accelerando il nostro lavoro.
 
E’ possibile trattare altre zone, anche se quella dorsale è di più facile gestione: per esempio l’area pettorale, sempre partendo dal basso verso l’alto. Lungo gli arti prevale la regola opposta: sono i muscoli più vicini al tronco, quindi più in alto nella normale posizione eretta, a controllare quelli più periferici. Sulla pancia (più bello chiamarla così che “addome”, no?) non c’è necessità di trattamento perché è praticamente impossibile trovare delle contratture significative, eccetto durante una crisi di appendicite; ma a quel punto è doveroso correre in ospedale, senza tentare di agire in proprio con questo strumentino manipolativo!

Per saperne di più

Il testo di questa pagina
è tratto da “La malattia ha le sue buone ragioni, ma le si può far cambiare idea”.
Un tuffo negl’inciuci che l’organismo intesse per sopravvivere e stare il meglio possibile.
Un viaggio un po’ disorientante (e nel contempo rassicurante) nei meandri del funzionamento umano, fisico e psichico.

AUTORE
Mario Frusi

SPECIFICHE TECNICHE
267 pagine
Formato 21 x 15

EDITORE
Edizioni Tecniche – Graphedit

CODICE ISBN
978-88-905430-6-7

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