La manipolazione di Furter

“Natura curat, non medicus”. Anche senza essere dei provetti latinisti si può capire facilmente il significato di questa frase. Ma che corrisponda al vero può risultare più ostico, sopratutto con un metodo così coinvolgente.
Come già descritto, si tratta di sollecitare i tessuti sottocutanei (e fors’anche più profondi) con una manipolazione molto energica, a tratti decisamente rude. Verrebbe da pensare, pertanto, che sia proprio la mano del terapeuta ad operare il cambiamento.
Eppure anche in questo caso ci troviamo nel vasto mondo delle “riflesso-terapie”, là dove un risultato favorevole viene ottenuto grazie alla reazione che l’organismo mette in atto dopo aver ricevuto ed elaborato un segnale.

Torniamo a qualche semplice concetto di fisiopatologia.
La memoria di eventi disturbanti il benessere viene conservata anche grazie ad alcune modificazioni chimico-fisiche indotte nei tessuti superficiali, perlopiù in vicinanza del luogo dove si è consumato il danno. In un traumatismo psichico, per esempio, se la paura ha fatto mancare il fiato sarà il petto a rimembrare l’esperienza; mentre in un problema corporeo come una gastroenterite neonatale sarà la regione addominale a serbare la memoria della sofferenza (manteniamo quest’assurda distinzione tra corpo e mente per sola comodità didattica, rammentando che non corrisponde alla realtà).
Una volta consolidatasi, una certa memoria continuerà ad esplicare il suo effetto disturbante proprio perché la strada per quel disturbo è già spianata, l’organismo già conosce quel percorso comportamentale e ci torna con facilità nonappena le condizioni esterne lo introducono a quel comportamento. Per esempio, la memoria della gastroenterite farà sì che, anche nella vita adulta, quell’ex bambino col mal di pancia non possa mangiare nulla fuori dal comune, o in orari differenti da quelli abituali, o stando al freddo (piuttosto che al caldo), perché quel minimo segnale di disturbo ri-scatenerà nell’organismo sempre quella patologia primordiale.

Come già si diceva, uno dei magazzini di queste informazioni reiterative di sofferenza sembra essere il tessuto sottocutaneo, dove le fibre connettivali modificano la propria densità fisica (c’è più materiale ed è più ammassato) e qualità chimica (le molecole sviluppano differenti legami l’una con l’altra). Il risultato di questo processo patologico è la comparsa, addirittura percettibile al tatto, di rilievi, nodosità, salienze più o meno irregolari. E’ possibile che s’impiantino anche all’interno o sulla immediata superficie dei muscoli, cioè su un piano di profondità maggiore rispetto al solo sottocutaneo; ma nuovamente dobbiamo sottolineare che non stiamo disquisendo di ricerca scientifica pura, e quindi alla fin fine non c’interessa più di tanto sapere dove sono, ci basta poterli individuare e lavorare su di loro.

La tecnica, molto semplice una volta che se ne sono acquisiti i principi di base, consiste nel mettere in difficoltà meccanica queste strutture patologiche, scompaginandone l’organizzazione interna come solo una manipolazione energica può fare.
Dopo qualche minuto già si avverte un cambiamento: la nodosità si affievolisce, si riduce fors’anche di dimensioni longitudinali oltre che di spessore, verosimilmente perché ne viene spremuta via l’acqua intercellulare (e questo è sicuramente opera del terapeuta; ma c’è dell’altro).

Il più delle volte, durante questo breve lasso di tempo, il paziente avrà ri-sperimentato il problema stesso per cui il trattamento viene effettuato, come nel caso della crisi di panico descritta in un capitolo precedente. Il fenomeno è spiegabile proprio considerando che la salienza sottocutanea è il serbatoio d’informazione patologica, al quale l’organismo attinge quando le condizioni generali lo esigono.
Occorre una precisazione. Non sto dicendo che, per esempio, nel caso di un fibroma sanguinante l’utero sia perfettamente sano, e semplicemente riceva dal sottocutaneo un messaggio che lo induce suo malgrado all’emorragia: è ovvio che a sua volta sarà direttamente coinvolto, e ben lo sanno i ginecologi quando asportano delle masse grandi come un pallone e sgretolabili come creta! Però l’INFORMAZIONE PERVERSA, che ha prodotto la degenerazione patologica dell’organo, è partita (o perlomeno si è ampiamente riverberata) nel sottocutaneo.
D’altra parte, se una donna durante l’odioso trattamento percepisce esattamente i suoi disturbi da emorragia, senza che il terapeuta arrivi a maneggiarle proprio l’utero, allora qualcosa immediatamente sotto pelle DEVE succedere, no? Se la crisi di panico cardiaco veniva scatenata manipolando il petto (fra l’altro in una zona al disotto della quale c’era un polmone e non direttamente il cuore), allora quella regione DOVEVA in qualche modo essere connessa al disturbo profondo, no?

E sta di fatto che la patologia regredisce quando il problema sottocutaneo si riassorbe. Si riassorbe, esattamente: non è il terapeuta a produrre direttamente il fenomeno, bensì il rimaneggiamento tessutale attraverso i meccanismi cellulari automatici.
Leucociti, granulociti, macrofagi: parole sempre difficili per indicare alcune categorie di cellule che fungono da spazzini e che più semplicemente sono conosciute come globuli bianchi. Viaggiano qua e là, all’interno dell’organismo, e si fermano a (letteralmente) mangiare ciò che viene riconosciuto come nemico, o di troppo, o “sporco”, per trasformarlo in sostanza non dannosa. La natura cura: il medico si è modestamente limitato a invogliarla.

Già. Ma allora PERCHÉ gli spazzini non hanno individuato sul nascere la comparsa di una nodulazione patologica, e non l’hanno abortita immediatamente?
La fregatura è che i sistemi di sorveglianza a volte s’ingannano, fuorviati da segnali apparentemente di poca rilevanza oppure così rilevanti da essere pervasivi, proprio come abbiamo già constatato nei meccanismi di formazione dell’inconscio.
Chiariamo con un altro esempio, di nuovo partendo dal nostro povero panicato. Approfondendo la sua conoscenza, si viene a sapere che il padre aveva subìto un infarto al cuore quando lui era piccino. L’atmosfera di famiglia, in quelle settimane critiche sospese fra la vita e la morte, era perlomeno di angoscia; e il bambino già grande abbastanza da capire che cosa gli accadeva intorno aveva sviluppato un processo psichico di identificazione, del tipo: “se è successo a papà succederà prima o poi anche a me, che sono suo figlio e per di più maschio come lui”.
Proprio per garantirsi di non soccombere all’angoscia quotidiana (il “segnale pervasivo” di cui parlavo prima) il suo cervellino aveva elaborato un sofisticato piano di accantonamento del problema. La coscienza, cioè, dopo un certo tempo si è ritrovata libera di pensare che per lui le cose sarebbero andate diversamente, e la certezza che, invece, sarebbe precipitato anche lui nell’infarto si è nascosta in qualche piega dell’inconscio in via di formazione.
Non una piega a caso, ovviamente, ma proprio nel sottocutaneo dalle parti del cuore, solo un po’ più a sinistra: certo, i dolori del cuore che muore per mancanza di sangue sono percepiti centralmente nel petto, ma l’immagine che tutti noi ne abbiamo è decentrata a sinistra. Per fortuna il suo organismo aveva “scelto” di sviluppare soltanto una patologia cosiddetta funzionale, senza ancora intaccare la struttura vera e propria del muscolo (che avrebbe potuto cominciare a compromettersi, se il problema non si fosse risolto, di lì a qualche tempo).

Per tornare ai nostri spazzini, sono stati ingannati dalla lenta progressione del segnale a livello sottocutaneo. Se nella città vecchia una costruzione in disuso decade lentamente, per molto tempo i passanti possono non accorgersi dei suoi piccoli cambiamenti mensili: la tinteggiatura scolorisce pian piano; l’intonaco si sgretola appena un po’; le erbacce cominciano a insinuarsi fra le spaccature e sotto il tetto; il vento turbinando deposita le cartacce sui davanzali bassi e nessuno, trattandosi di proprietà privata, le rimuove; qualche listello di persiana cade a terra e viene preso a calci da un ragazzino nella totale indifferenza generale. E’ soltanto quando si stacca un grosso pezzo di cornicione che si allertano i vigili del fuoco, si transenna l’edificio e lo si fa restaurare o abbattere. Nel caso dell’organismo, dato che si tratta sempre di edifici abusivi, i globuli bianchi allertati non possono fare altro che smantellare. E in effetti le nodulazioni ben manipolate finiscono per scomparire del tutto!

Una volta rimosse le irregolarità sottocutanee, la patologia che esse mantenevano in attività molto spesso finisce semplicemente per regredire, non essendo più sostenuta da un’adeguata informazione.
Questa regola non va però intesa in senso assoluto: quando il problema dell’organo sia molto radicato la manipolazione può non essere sufficiente. Con questo solo metodo non si riesce, per esempio, a curare il cancro. Ma è pur vero che se ne può rallentare l’aggressività, o quantomeno ridurre la sintomatologia correlata.
E per un vera minaccia di infarto cardiaco non mi sognerei certo di proporre la sola manipolazione pettorale! Però, prese tutte le adeguate misure cautelative, non sarebbe insensato cercare di curare il rischio-infarto anche con questo metodo, perché si tratta di una patologia organica comunque influenzabile dal sottocutaneo, proprio come il già citato “pallone uterino” sanguinante.

Fino a questo momento ho eluso la domanda che sicuramente sarà frullata nella testa e nella pancia di molti lettori: “MA COME PUO’ un organismo accettare di sentire tutto quel dolore, perché proprio di quello si tratta, nella sola aspettativa che il problema per il quale ha richiesto l’intervento venga risolto?” Beh, ci sono altri esempi nella storia di più noti trattamenti curativi: non è certo simpatico lasciarsi calare sulla superficie di un dente un vibrante trapano, non saranno di sicuro molte le donne ben felici di ricevere una visita ginecologica o di farsi schiacciare il seno durante la mammografia, né è particolarmente divertente subire le manovre per far rientrare un gonfio e violaceo nodulo emorroidario…
Quando il modello culturale vigente accetta una determinata procedura, la volontà riesce a superarne il disagio; da parte mia, cioè, si tratta di spiegare e pazientare fino a quando la mia proposta di trattamento anche doloroso non viene considerata accettabile.

Ma c’è un importante motivo in più, che scavalca addirittura la volontà cosciente e si cala nella profondità animale dell’organismo. Si diceva che, molto spesso, la manipolazione rievoca inizialmente il problema specifico di quella persona, smuovendone il software sottocutaneo. Immediatamente, se il disturbo è particolarmente forte, la scimmia umana vorrebbe scappare via o perlomeno interrompere: più di una volta il nostro poveretto già citato mi strappò via la mano dal petto, nonappena questa gli rievocava il suo panico.
Un attimo dopo, però, l’uomo adulto comprende che quella crisi è direttamente prodotta dalla manipolazione, cioè ben configurabile e gestibile; costringe così la scimmia a sopportare per qualche altro minuto fino a quando il fenomeno si inverte garantendo un rapido sollievo (non già del dolore manipolativo, ché quello forzatamente continua, bensì del sintomo specifico per cui viene attivata la manipolazione): a quel punto la scimmia stessa, alleviata, mostra apprezzamento per il risultato ottenuto e in qualche modo si fa una ragione della sofferenza, che non è più percepita come gratuita bensì come necessario passaggio risolutivo: un “dolore che fa bene”.

Per saperne di più

Il testo di questa pagina è
tratto da “La malattia ha le sue buone ragioni, ma si potrebbe farle cambiare idea”.
Un tuffo negl’inciuci che l’organismo intesse per sopravvivere e stare il meglio possibile. 
Un viaggio un po’ disorientante (e nel contempo rassicurante) nei meandri del funzionamento umano, fisico e psichico.

Il libro: si trova a Noosoma, al prezzo speciale di 10 €, oppure vi viene spedito: centro@noosoma.it