Da alcuni giorni ho un sottofondo di costante tristezza, per nessun apparente motivo e niente in particolare.

Se smetto di ascoltarla mi accorgo con quale facilità si trasforma in irritazione e/o giudizio per qualunque pretesto si presenti ai miei occhi, e la conseguenza ormai conosciuta e sperimentata decine e decine di volte è che, a seguire quella strada, troverò cibo cattivo e poco nutriente.

Mentre ascolto la tristezza mi pervade la paura: arriva all’improvviso, la vera paura di ciò che può succedere in questa “follia collettiva” dove si può immaginare il punto di esplosione a distruggere gli equilibri e trovarci invasi dall’odio e dalle conseguenze che ne possono derivare.

Se torno alla mia paura e lascio che scorra, la sento talmente forte e fisica che si trasforma.

All’improvviso mi ritrovo in un sottobosco che mi collega ad un raccolto e intimo viaggio lontano da ciò che circonda e invade le nostre case, e soprattutto dai bisogni di ogni essere umano. Prendo la distanza, quella necessaria distanza per guardare le cose da punti differenti e rimanere connessi con la necessità di trovare pillole adeguate per curare la grande “Carenza di umanità”.

Mentre mi muovo nel sottobosco ne percepisco l’odore acre e intenso, umido, sento i passi uno dopo l’altro scandire il percorso, sento il rumore ovattato e quasi intimo, di quella intimità a noi molto cara.

Intravedo la luce infiltrarsi tra un ramo e l’altro, la vedo farsi strada anche se tutto è molto fitto, oppure vedo le foglie con colori diversi a dirmi che c’è luce che arriva da qualche parte, anche se non è così nitida.

Guardo le foglie: sembrano sorridermi e incoraggiarmi a proseguire.

Avanzo col sapere del corpo (il sapere del corpo non si chiede se è giusto o sbagliato ciò che stai facendo, è quel sapere che non fa morire prima del tempo) e con la certezza di arrivare al mare so che troverò l’immensità, l’appartenenza, l’infinito… ingredienti di sintesi.

Vengo accompagnata nel sottobosco in una delle tante possibili forme di raccoglimento.
Più si sente urlare, più c’è necessità di ricercare il silenzio e lasciare che queste urla finiscano nell’immensità dello spazio e si diluiscano, perché a dargli retta prenderanno forza e forma e ci confonderanno, ci faranno sentire inadeguati, e soprattutto impotenti.

Raccogliermi per aspettare di vedere il seme germogliare e all’improvviso uscire dalla terra, fino a poco prima apparentemente priva di vita.

Mentre guardo questi germogli sento di non volere dare ascolto a chi mi fa vivere e camminare come se fossi 24 ore su 24 in un precipizio.

Ho sete e fame di continuare ad apprendere da chi, nonostante tutto, continua a ricercare il senso e il valore della propria vita.

Li cerco ogni giorno e ne trovo molti, li trovo oltre quei muri pieni di crepe, di instabilità, muri che ostacolano la visione della vita, le potenzialità. Hanno piccoli gesti quali tenersi per mano, cercarsi, dirsi che ci siamo, e ci siamo per le cose semplici, perché se c’è qualcosa che in questo cammino sto trovando è la necessità di un quotidiano fatto di cose semplici.

Così come questi germogli ….

 

E. Brizio